La sconfitta di Bergamo è l’ultima di un decennio non pienamente a livelli da Milan, ora servirà di nuovo reagire
Di Giuseppe Vitale
Il rumore é quello di uno schianto terribile, di un pugile che cade a terra dopo aver incassato una serie di ganci micidiali, 5 per la precisione, uno dietro l’altro. Eppure su quel ring il pugile c’era salito togliendosi un accappatoio pregiato a tinte verticali rosse e nere, con il blasone di chi deve far valere i colpi scagliati da quei guantoni che conoscono il mondo intero.
Invece cade giù, compiendo un tonfo fragoroso, scandito successivamente dai 10 secondi che l’arbitro conta davanti il suo volto, provato e gonfio dalle botte ricevute. La campanella suona È k.o., di quelli che fanno particolarmente male, di quelli che lasciano cicatrici che offriranno un terribile ricordo, ogni qual volta incroceranno il nostro sguardo.
Il decennio si chiude nel peggiore dei modi, come una sentenza divina, quasi a voler sottolineare che non é stato esattamente il decennio del diavolo, che non ha fatto parlare bene di sé come quello prima . Un sistema da resettare , magari riavviandolo in modalità provvisoria per ripristinare una condizione precedente, oppure solo per provare a vedere se il problema sia risolto. Non é così facile, magari lo fosse.
La Dea c’ha travolti come un tir , noi lì fermi a mostrare tutta la nostra fragilità, una squadra ancora troppo immatura, troppo giovane e priva di poteri speciali per poter avere il privilegio di vestire i panni dei supereroi.
In situazioni del genere anche il discorso di Al Pacino in “ Ogni maledetta domenica” sembra perdere credibilità, non basterebbe neanche quello per scuotere questo gruppo che impropriamente viene chiamato Milan.
Guardiamo avanti al decennio successivo dunque, augurandoci stabilità su tutti i punti di vista, lasciandoci alle spalle : cambi societari balordi, giocatori indegni, allenatori non consoni e un pubblico meraviglioso. Quest’ultimo sappiamo che resterà tale.
L’unica speranza che si può cogliere in questo enorme incendio che ci pervade, é quella di attendere ancora pazienti, perché dalle ceneri che rimarranno, prima o poi, la fenice é destinata a risorgere.