di STEFANO RAVAGLIA

 

A Milano il freddo ha concesso una tregua, il grigiore del cielo la sovrasta sempre ma l’aria è clemente. A Lorenteggio c’è un grande circolo sportivo dove i colori, nella città di Milan e Inter, sono il bianco e il nero. È quello della Iris Milano, società fondata nel 1914 dove Meazza tirò i primi calci al pallone. C’è il bar coi muri puntellati di tante foto di squadra, ci sono i campi da tennis e quello da calcio, nuovo di zecca. E poi c’è un signore, che di nome fa Giovanni e di cognome Lodetti, che con il Milan ha vinto tutto, e che da una quindicina d’anni passa qui in spensieratezza i suoi pomeriggi. Ci attavoliamo e inizia un lungo viaggio dentro al più vero e puro “milanismo”.

 

Partiamo dalla figura di Don Giovanni Delle Donne, che supervisionava i ragazzini che giocavano, tra cui lei, sul campetto dell’oratorio a Caselle Lurani. Che uomo era?

“Era una persona straordinaria. Commisi un errore nei suoi confronti perché firmai il cartellino con la Luri, una squadra che mi aveva cercato, ma lui non ne sapeva nulla. Successe di domenica mattina. Torno a casa, e un giorno dopo la scuola vado da lui (ero anche chierichetto in Chiesa), e glielo dico. Per tutta risposta lui ha tirato un pugno sul tavolo: “Ho ottimi progetti per te, digli di stracciare il cartellino. Tu non ti muovi di qui”.

Secondo lei oggi c’è ancora qualcuno che va negli oratori in cerca di talenti?

“No, all’epoca in paesi piccoli come il mio non c’era altra possibilità. Io restai ancora un anno poi feci un provino con la Scarioni, che all’epoca era quasi una succursale del Milan. Mi diedero la maglia rossonera, un segno del destino. In tribuna c’era proprio Don Giovanni a vedermi. Mario Malatesta, allenatore delle giovanili rossonere, mi osservò e a fine provino mi disse: “Di al Don Giovanni che va bene, ma dovremo fare un’altra prova per la decisione finale”.

E poi, finalmente il Milan.

“All’epoca non c’era la Primavera, c’era la “De Martino”. Giocammo all’Arena, contro l’Atalanta. In tribuna Gipo Viani, Rocco e Marino Bergamasco, l’allenatore in seconda. Gioco bene, e Rocco disse a Viani: “Gipo te ga’ il solito il cul, hai trovato il giocatore che ti ha messo a posto il centrocampo”. Sono sempre stato milanista, ma sentivamo le partite alla radio all’epoca. Non potevo però lasciare il lavoro e allora Viani mi disse ‘dimmi quanto prendi e te lo diamo noi’. E quando andai in via Aldegani a firmare il contratto, non mi sembrava vero. Vedevo passare Schiaffino, Grillo, Maldini e mi chiedevo se mai un giorno ci sarei stato anche io”.

Liedholm, Rocco, Heriberto Herrera alla Sampdoria. Quale il migliore?

“Liedholm e Mario Malatesta sono stati i due allenatori più determinanti. Liedholm era fantastico. Mi diceva “’Giofanni’ tuo sinistro non bene”. Per un anno, a fine allenamento, mi sono fermato con lui. Metteva venti palloni uno a fianco all’altro e bisognava centrare un triangolo che era appeso alla porta. Lui ne metteva sedici o diciassette, io se ne mettevo uno o due era già tanto. Herrera alla Sampdoria era più duro. Ma un grandissimo allenatore”

E il Sior Rocco?

“Tantissimi aneddoti. Uno in particolare: a tarda sera, ci facevamo tenere dal barista di Milanello una bottiglia di Champagne. “Lasciala giù dalle scale che la veniamo a prendere noi”. Eravamo io, Sormani, Malatrasi, Anquilletti e Hamrin. Una sera, Rocco mi becca in corridoio con la bottiglia in mano. Ero spacciato. E lui: ‘Mona, la prossima volta chiama anche me!’. Creava il gruppo e questo gli bastava. Decideva la formazione ma poi chiedeva a turno a quattro di noi cosa ne pensassimo. I giocatori di oggi si lamentano della stanchezza, a quei tempi i ritiri duravano a lungo e gli allenamenti erano più duri, usavamo poco la palla.”

Il 15 novembre del 1964 una bella doppietta in un derby vinto 3-0. E anche qui Liedholm ne dice una delle sue…

“Quattro giorni prima andiamo a vedere l’Inter con la Dinamo Bucarest e vincono 6-1. Io, Trapattoni e Pelagalli. Pensavamo di non farcela. Poi domenica giochiamo e vinciamo 3-0. Uno dei due gol lo segnai di sinistro. Giocavamo benissimo, la gente era entusiasta. Liedholm venne da me e mi disse “visto Giofanni, tu quasi bravo anche di sinistro!””

1969, finale a Madrid con l’Ajax. Prima del trionfo, timori alla vigilia?

“Se li avessimo incontrati due anni dopo, avremmo perso. La vera finale però è stata la semifinale col Manchester United. Perdiamo Rivera dopo 18 minuti. Entra Fogli, ma non aveva carisma e temperamento come Rivera. É uscito il gruppo: ci siamo detti, dobbiamo vincere anche per lui. Li battemmo 2-0”

Tra i giocatori di quel Milan, lei è sempre stato molto vicino in particolare alla figura di Roberto Rosato, con il quale condivideva la stanza in ritiro. Ci può dare un suo ricordo?

“Un apporto fraterno. Era un po’… tirato, diciamo. Non amava spendere e spandere. Era divertente, un ragazzo straordinario: sicurezza nel gioco, amicizia vera. Ricordo che ogni tanto comprava i giornali anche per Rocco, e noi gli dicevamo “guarda che ti fa giocare anche se non glieli compri!””

In chiusura, un ricordo di Davide Astori.

“Un ragazzo splendido, una di quelle persone che pensi che non se ne vadano mai, e invece… una tragedia che mi ha lasciato davvero senza parole”.

 

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