di STEFANO RAVAGLIA

 

In principio fu la Medaglia del Re. Per ricordare il re Umberto I ucciso il 29 luglio 1900, gli fu intitolato un trofeo, una delle prime pionieristiche competizioni di sempre. E il Milan di Kilpin, Lana, Dubini, Camperio e soci, appena iniziò a vedere bianconero, non capì più nulla. La Juventus, nata in giacca rosa e cravatta nera su una panchina di un liceo torinese, venne ripetutamente battuta: il primissimo incontro, amichevole, finì 2-0. Poi le tre affermazioni consecutive nel torneo dedicato al Re: il Milan vinse nel 1900, 1901 e 1902 battendo altre due volte i bianconeri. Intanto, 3-2 alla prima di partita ufficiale, il 28 aprile 1901. Poi un altro 7-0 in amichevole e addirittura un 8-1 nel 1912.

Il romanzo dal intitolato Juventus-Milan, sabato sera si arricchirà di un nuovo capitolo. Venuti gli anni Cinquanta, inizia la spartizione degli scudetti. Il 5 febbraio del 1950, si scolpisce nella pietra non solo un fatto sportivo, ma anche storico. La Juventus, che gioca in casa, passa in vantaggio. Poi il Milan si abbatte di nuovo sui bianconeri: 7-1. Quando anni dopo chiesero a Gianni Agnelli «Avvocato, si ricorda quel 7-1?»  lui rispondeva «Certo, ma si faccia dire chi vinse lo scudetto a fine anno». Nel 1971 a San Siro vincono i bianconeri 4-1. É la domenica del colpo di tacco di Bettega. Due anni dopo, romanzesco finale di campionato: al novantesimo, con la Juve inchiodata sul pareggio a Roma e il Milan mortificato 5-3 a Verona, si profila uno spareggio che non si vede da Bologna-Inter del 1964. Cuccureddu decide però di evitare l’ingombro e segna il 2-1 ai giallorossi che porta il tricolore a Torino. Nella stagione 1978-79, arriva la stella sulle maglie del Milan. La partita di Torino, in novembre, è racchiusa tutta nei primi secondi di gioco: calcio d’inizio, e Tardelli, di gran carriera, si dirige immediatamente sulle gambe di Rivera pigliandosi il giallo. Dopo un minuto, segna Bettega: finirà 1-0.

In casa dei bianconeri si protrae, dal 1971, ultima volta che il Milan batté la Juventus a casa sua, un lungo digiuno per i rossoneri; almeno sin quando “esce cervo da foresta”, come Boskov soleva apostrofare Ruud Gullit. Tra una nota di reggae e un filotto di avvenenti spasimanti, l’olandese si ricorda soprattutto di fare il calciatore e nel gennaio 1988 interrompe l’incantesimo incornando Tacconi. È cambiato tutto: Rivera ha salutato, il Milan è tornato dal doppio inferno della B (a proposito: tripletta di Galderisi, terzo gol di rimpallo, in un 3-2 a Torino dove un Milan commovente si batterà ma a fine stagione vivrà il dramma della retrocessione sul campo) e Berlusconi ha spaccato in due il calcio italiano ed internazionale a suon di miliardi. Anche la meteora Graziano Mannari demolisce la Juventus con una doppietta, prima volando su cross di Evani e poi prendendosi gioco di Tacconi in un memorabile 4-0 del marzo 1989. Siamo nel periodo di Regno di Arrigo Sacchi. Troppo forte quel Milan per i bianconeri. Che però soffiano loro una Coppa Italia nel 1990 quando viene inaugurato San Siro firmato Mondiale: Galìa è il giustiziere.

Ci vorranno nove anni di sottomissione perché la Juventus torni a vincere lo scudetto, il primo dal 1986: nel 1991-92 comincia un duopolio di otto stagioni in cui lo scudetto sarà affare biancorossonero, con la Juventus di Trapattoni che strappa un 3-1 nel 1992-93 (ascoltatevi la cronaca in giapponese su YouTube…) e torna alla vittoria dello scudetto nel 1995; due anni più tardi rifila ai rivali pure un 6-1 a San Siro chiudendo il grande ciclo del Milan degli invincibili. Alleanza vera o presunta dentro e fuori dal campo, con Moggi a un passo dal Milan a Palazzo Grazioli prima che esplodesse la bomba calciopoli, e i siparietti cordiali tra Agnelli e Berlusconi, che riuscivano a far andare anche il calciomercato come dicevano loro, nel tunnel degli spogliatoi. Impensabili, oggi.

Calciomercato, dicevamo. E il Cavaliere ha dovuto comunque pazientare: nel 1990 Roberto Baggio, praticamente rossonero, fu dirottato a Torino, mentre quattro anni prima, appena sbarcato con gli elicotteri all’Arena Civica (a proposito: “Li utilizzeranno per scappare”, disse il solito Tacconi che di peli sulla lingua ne aveva pochi), si era beccato il no di Vialli. Poi arriva l’era delle tv, della Champions League, del mano nella mano di Boban e Weah nel 1999 in un 2-0 al “Delle Alpi” decisivo per la rimonta sulla Lazio, Inzaghi che saluta Villar Perosa e va ad allenarsi e a vincere a Milanello; e il punto più alto del romanzo: la finale di Manchester del 2003, vinta da Ancelotti ai calci di rigore. Sì, quello che a Torino definivano “maiale” e al quale 144 punti non erano bastati per far suo almeno un altro scudetto. Il resto è storia di oggi: la Supercoppa con Montella, e dietro l’angolo, la rivincita in Coppa Italia, persa nel 2016 con Morata che aveva imitato Galìa, e nefasta anche l’anno passato, dove il Milan tenne il pallone e la Juventus segnò due reti eliminando i rossoneri ai quarti. Prima però, vediamo se in campionato il Milan riuscirà a spuntarla: da quando è stato tirato su lo “Stadium” i rossoneri hanno sempre perso. Servirebbe un cervo, che “esca da foresta”.

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