di STEFANO RAVAGLIA
Chissà se sarà all’altezza, dicevano. Christian Abbiati, classe 1977 e ventidue anni non ancora compiuti, era chiamato a un compito non semplice. Il Milan, vittorioso in quella stagione 1998-99 contro il Perugia a San Siro la settimana prima, avrebbe dovuto fare a meno del proprio “mahatma” Sebastiano Rossi, portiere dei grandi successi, perché il nostro, a conferma del caratterino un po’ così, aveva steso senza complimenti Bucchi, reo di voler recuperare il pallone in fondo al sacco dopo che gli umbri avevano accorciato le distanze portandosi sul 2-1. Cinque giornate di squalifica e dentro il ragazzino di Abbiategrasso, all’esordio in rossonero. E che esordio: il Milan, impegnato sul difficile campo di un Bologna che quell’anno arrivò in semifinale di Uefa, gli dovete molto in quel freddo ma assolato pomeriggio di gennaio del ’99, quando a suon di parate fermò gli assalti di Signori e compagni.
Lo scudetto, dopo un biennio da film dell’orrore, non era per nulla nei piani di una società che, dopo aver visto un ciclo d’oro sbriciolarsi con un decimo e un undicesimo posto, doveva rimettere insieme i cocci. Bierhoff, Helveg e Zaccheroni arrivarono da Udine, loro che avevano fatto fortune in Friuli portando l’Udinese ad arrendersi solo all’Ajax in Coppa Uefa la stagione precedente. E così quatto quatto il Milan rosica i piedi a Lazio e Fiorentina, pimpanti antagoniste in un anno in cui la Juventus esonera Lippi e l’Inter cambia quattro allenatori. A Bologna, prima giornata di ritorno, il Milan va sotto due volte ma per due volte recupera con le reti dell’argentino Guglielminpietro, fornitore ufficiale di cross per il tedescone capocannoniere, e un autorete di Magoni che oggi sarebbe gol di Morfeo.
A quattro minuti dalla fine, Zaccheroni inserisce il francese N’Gotty, famoso sinora solo per un autogol nel derby di andata, al posto di Ambrosini e nel recupero tocca a lui battere una punizione dal limite. Tocco e botta di destro che buca Antonioli: 3-2. “Il Milan ha sette vite”, titola la Gazzetta dello Sport l’indomani. Sette vite, e sedici scudetti, col sigillo del tricolore arrivato a Perugia il 23 maggio, dopo un finale di campionato romanzesco. Anche grazie ai gol in extremis di Ganz, contro Piacenza e soprattutto Sampdoria che portarono quattro punti e tutta la differenza del mondo su una Lazio sconfitta in extremis. Ma anche grazie a “Brunone”, comprimario per tutta la sua vita rossonera ma che quella domenica si guadagnò l’imperitura memoria. Il 13 marzo, nel derby di ritorno, N’Gotty segnò stavolta nella porta sbagliata in un 2-2 griffato anche dai giganti Ronaldo e Weah. Poco male: a distanza di anni, possiamo perdonarlo.