di STEFANO RAVAGLIA

 

“Soldi buttati”, “Ma cosa l’abbiamo  preso a fare”, dicevano. Prima di scoprire che dietro Hakan Calhanoglu, turco-tedesco di Manheim, si nascondeva un clamoroso equivoco tattico. Abituato a giocare davanti o dietro l’unica punta, il turco era stato forzatamente costretto a provare il ruolo di mezz’ala nel 3-5-2 di montelliana memoria e con il quale la stagione era iniziata. Il Milan, strada facendo, perdeva partite e pezzi, rischiando di compromettere tutto il buon valore della sua campagna acquisti.

Poi, con Gattuso, il ritorno al 4-3-3 e lo spostamento del turco da esterno d’attacco. Prima della partita di andata di Coppa Italia con la Lazio (0-0), Hakan fu chiaro in conferenza stampa: “Rispetto le idee di tutti, ma io non ero abituato a giocare col 3-5-2”. Minuti giocati, 2.517, sei reti stagionali con 8 assist. Pur non facendo cose mirabolanti, anche a Bologna è riuscito nella cosa più importante: avere continuità.

Il destro senza troppi complimenti che ha sbloccato dall’impasse un Milan abulico, svuotato, lento e troppo orizzontale è stata come una fucilata in campo aperto quasi a dire “Lo prendo io il Milan sulle spalle”. Dentro un altro pomeriggio apatico come se fossero ancora i tempi montelliani, Calhanoglu può essere colui da cui ripartire, proprio perché urge trovare chi è davvero da Milan, e forse, allo stato attuale, facendo la conta non è che poi in tanti son degni.

La sostituzione a un quarto d’ora dalla fine appare quasi una rarità: nelle ultime tre partite aveva sempre giocato novanta minuti, fatta eccezione per i 68 minuti di Genova ormai risalenti all’11 marzo e i 76 di Torino un mese fa, partita in cui aveva centrato in pieno una traversa sulla quale sono stampati ancora mille rimpianti. Dimostrazione ulteriore di quanto sia importante e difficile da rimpiazzare, nonché della necessità delle sue giocate. Che finalmente, messe le cose al proprio posto, sono arrivate.

 

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