di STEFANO RAVAGLIA

 

Abbiamo raggiunto al telefono Giulio Tedeschi, agente FIFA con rappresentanze soprattutto oltremanica. Abbiamo approfondito la sua professione applicata all’attualità, in particolar modo al caso Donnarumma.

Giulio, innanzitutto qual è il tuo percorso da agente Fifa e quali sono le capacità più importanti?

“L’attività che noi facciamo è caratterizzata da un aspetto umano che deve per forza esserci, oltre alle competenze. Ho iniziato a guardare con grande entusiasmo al modello britannico di fare calcio e ho iniziato a prendere sotto di me ragazzi che giocano in Irlanda o in Scozia, tra cui anche Samuele Dalla Bona, un ex milanista con il quale stiamo progettando una carriera extra-campo dopo l’attività agonistica. Devo dire grazie all’avvocato Franco Campana che mi ha instradato e insegnato proprio il modo di porsi, che non è una cosa così frequente avere. Chi ci riesce ha buoni rapporti con gli assistiti. La presidentessa degli Hearts of Midlothian mi diceva ‘lei mi sembra tutt’altro che un agente con i modi che ha di fare!”

Commissioni e albo: due aspetti importanti.

“E’ una professione bella che va capita, sei un intermediario che fa da ponte tra le parti. Le commissioni, il nodo più importante, sono state calmierate proprio perché è la funzione di ponte che deve essere evidenziata. La nostra legge italiana ci chiama agenti sportivi perché è stata estesa ad altre discipline sportive oltre al calcio e dopo la deregulation del 2015 è stato ripristinato l’albo al quale sono iscritto e verso il quale ho nutrito sempre la preferenza, dato che per un periodo era stato abolito e ciò aveva creato molte difficoltà dando spazio a chiunque e creando confusione”

Qual è la differenza tra operare in Inghilterra e in Italia?

“Gli inglesi sono più chiusi, hanno bisogno di conoscere l’intermediario e non si fa una operazione con una persona sconosciuta. Per esempio, mi trovai ad offrire Bony (ex City) al Verona senza conoscere il direttore ma tramite un intermediario spagnolo del calciatore che non conosceva la lingua italiana. In Inghilterra, se presenti il tuo assistito con una certa forma e sostanza e per tempo, loro sono disposti a vederlo per tre o quattro giorni e valutarlo, cosa che non accade da noi. In Italia c’è più mercimonio, diviene un mercato ortofrutticolo della domenica dove si fa la gara al ribasso”. 

La questione Raiola-Donnarumma terrà banco ancora, soprattutto con l’approssimarsi del calciomercato. Qual è il tuo punto di vista?

“Raiola non fa altro che fare il suo lavoro. Non sbaglia quasi mai e per questo viene pagato bene, pensiamo al caso di Balotelli al Nizza, una realtà inferiore alle precedenti ma che ha dato i suoi frutti; molti sopportano ma sanno che poi le cose vengono fatte bene. Donnarumma è arrivato e lui ha subito detto ‘questo sarà il nuovo Buffon’ e grossomodo si è rivelato tale. A 17 anni ha esordito subito, non ricordo precedenti nel Milan di un portiere così giovane in campo. Interrompere il rapporto come Hamsik? La procura che un procuratore fa firmare ai suoi assistiti è di due anni al massimo, di solito. Occorre vedere quando la procura di Raiola con Donnarumma scade, ma sostanzialmente può essere interrotta in casi particolari come l’esistenza di profondi disaccordi o una non adempienza degli obblighi contrattuali o di denigrazione, che sarebbero da sottoporre alle commissioni giudicanti. Tra loro due evidentemente c’è una unità di intenti, ma essendo un ragazzo giovane Donnarumma non ha ancora assorbito la gestione di alcune cose fuori dal campo come quel video che fece all’indirizzo dei napoletani. La realtà, più in generale, è che il procuratore è una spugna che assorbe tutto ma fa gola: le famiglie spingono i ragazzi tra le braccia dei procuratori perché fa comodo anche a loro, soprattutto a quelle cifre. Dovrebbero invece inculcare loro quei valori fondamentali che mancano sempre e non incitare i figli a chiedere di più e poi fare gli scaricabarili al procuratore”.

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