Sono passati tredici anni dalla finale di Champions League in Turchia. E il Milan è molto diverso…
Era a pezzi quella sera di dodici anni fa la tifoseria rossonera. Chi non riusciva più ad alzarsi dal divano di casa, chi restava inebetito davanti alla tv e chi, ancor peggio, era inghiottito dalla marea rossa direttamente a Istanbul. Stadio discutibile, l’Ataturk, in una landa desolata della capitale quasi fosse una porta per l’inferno. La storia è nota: il Liverpool rimonta e vince e dopo tutto questo tempo ancora dobbiamo capire perché. Era il 25 maggio, oggi, nel 2005.
Azzardiamo un paragone con la situazione odierna. Da anni ormai il Milan non è quasi più competitivo. Spiragli di buone basi in questa stagione, conclusa però lontanissima dalla vetta, ancora una volta. Qualcuno, dopo Istanbul, definì la stagione “fallimentare”: certo, un Milan migliore anche di Manchester non aveva vinto nulla, se non la Supercoppa italiana in agosto. Scudetto steccato grazie a Trezeguet, Champions League sfumata quando era già praticamente in bacheca. Ora: meglio quell’inferno figlio di un ciclo straordinario o questa epoca lontana da tutti, senza competere e arrivando a fine stagione come una macchina col motore che sbuffa e deve essere accostata al lato della strada? Le finali si perdono o si vincono, e non è certo un problema: la competizione e l’aspirazione alla vetta, sono invece un dovere per una società come quella di via Aldo Rossi.
No, non replicheremmo Istanbul: è stato un orrore sportivo, una giornata di sole pieno che improvvisamente è stata coperta da nuvoloni neri che hanno scaricato tonnellate di pioggia e preferiamo non riviverla. Ma forse, a tanti anni di distanza, quella notte in cui il Diavolo vide il Diavolo, non era così brutta come la si dipinse: era comunque grande Milan e non possiamo dire lo stesso nelle ultime apatiche stagioni. E mentre proprio il Liverpool torna in finale, noi ancora dobbiamo capire come sbrogliare la matassa. Peccato: abbiamo sfottuto per anni gli altrui milanesi per le loro stagioni mediocri e senza obbiettivi mentre noi viaggiavano in prima classe, e oggi nostro malgrado siamo su quella stessa barca. Tre a uno, tre a due, tre a tre: brutto, ma oggi, tra closing, settlement agreement e rifinanziamenti, ci pare una filastrocca un po’ meno amara.