Quando le bandiere non piegano l’asta: Galli come Maldini, nessun ruolo di secondo piano
di STEFANO RAVAGLIA
Al tifoso del Milan ormai piglierà un colpo. Non sono bastati questi anni travagliati, deve pure digerire una grande storia che mano a mano sta smontando i propri pezzi per riporli definitivamente in cantina. Brutta immagine, ma nella vita recente del Milan, molti simboli sono stati ammainati. Paolo Maldini, innanzitutto: nel 2009 l’addio a San Siro in mezzo alle polemiche, poi ripetute voci di un suo ritorno in società prima reso impossibile dalla mancata empatia di idee con Galliani, poi da un progetto che non lo convinceva quando Fassone lo chiamò al capezzale. “Se c’è una cosa che ho sempre avuto come scopo principale nella vita è l’indipendenza di idee”, ha sempre detto l’ex capitano rossonero che non accetterebbe mai un ruolo di facciata.
Lo stesso ha fatto Filippo Galli ieri, annunciando il suo addio al Milan che era già cosa fatta e perlopiù nota. Altruismo e carisma, le stesse doti che il difensore riversava in campo e che sono state linee guida anche nella sua vita fuori dal terreno di gioco. Solidarietà verso due collaboratori che qualcuno ha deciso di rimuovere dall’incarico con cui lui aveva un rapporto di straordinaria fiducia: impossibile dunque lavorare senza di loro. Il settore giovanile del Milan, seppur non abbia ottenuto risultati così eclatanti, se si eccettua lo scudetto degli Allievi nel 2017, ha lavorato bene sotto la sua guida. Galli lascia la squadra più giovane dell’ultimo campionato, il Milan di Gattuso, età media 25 anni. Obbiettivi nettamente centrati nel tempo, dunque, con l’affacciarsi sulla scena di Cristante e Verdi prima e di Cutrone e Calabria poi.
Quanto è cambiato negli ultimi anni in casa Milan, in campo e fuori: sciolta la Fossa dei Leoni dopo 37 anni, abbandonata la vecchia sede di via Turati dopo un’altra quarantina, ammainate le bandiere di Maldini e Galli e il simbolo Kakà, ed è notizia di questi giorni la chiusura di “Forza Milan!” di cui abbiamo già parlato. Dovunque il tifoso del Milan giri la testa, ora pare non trovare più punti di riferimento. O forse deve ancora trovarne di nuovi. I processi di cambiamento, e il più importante è stato certamente l’addio della famiglia Berlusconi dopo 29 trofei in trentuno anni, sono lenti e duraturi nel tempo, finanche agonici e per nulla semplici. Ma è la vita, bellezza. Anche nel calcio funziona così.