Un rapporto controverso nato 27 anni fa in una notte marsigliese

DI MATTEO ANOBILE

Il rappporto fra il Milan e la Uefa, non è mai stato tenero e dolce, per via di diversi attriti. Siamo in attesa della sentenza che assume le sembianze di una spada di Damocle, puntata sul Milan. Partendo da lontano nel tempo, si torna al marzo 1991 con il diavolo, che veniva dal pareggio con il Marsiglia nei quarti di finale di Coppa dei Campioni. Al ritorno, i francesi vincono 1-0 grazie al gol di Waddle al 75. Dopo soli dodici minuti l’impianto di illuminazione dello stadio francese, vide un riflettore spegnersi. Galliani ordinò alla squadra di lasciare il campo, i giocatori non replicarono e abbandonarono il rettangolo di gioco. La Uefa stabilì come pena, un anno di squalifica dalle coppe europee.

Passano tre anni e mezzo, stagione 94/95, il Milan è campione d’Europa in carica, e nella seconda partita del girone, a  San Siro arriva il Salisburgo. La sfida fila liscia senza problemi, i rossoneri vincono in scioltezza per 3-0, grazie al gol di Stroppa e alla doppietta di Simone. Il portiere austrico Konrad venne colpito da una bottiglietta lanciata dalla tribuna. Dopo aver subito il secondo gol stramazza al suolo. Viene portato in ospedale, peccato che fosse una sceneggiata, architettata alla perfezione. La Uefa a fine partità punì il Milan: due turni di squalifica al campo (i rossoneri emigrarono a Trieste) e due punti di penalizzazione.

Stagione 1996/97, il Milan era passato da Capello a Tabarez, la penultima partita del girone,il diavolo impegnato ad Oporto. Il match si concluse 1-1. Weah venne picchiato e provocato, prima a Milano, poi  nel match di ritorno da Jorge Costa. George lo aspettò fuori dal tunnel e glì rifilò un gancio secco, il verdetto della Uefa anche quella volta non fu tenero. Cinque giornate di squalifica al liberiano, per condotta violenta, senza  tener conto delle provocazioni.

Ora siamo in attesa del verdetto in arrivo da Nyon, considerando i precedenti e i prodromi, la situazione si fa davvero ardua. Ai posteri l’ardua sentenza.

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