La Uefa esclude il Milan dall’Europa (in attesa del TAS), ma i problemi vengono da molto lontano. Lasciamo da parte il vittimismo
di STEFANO RAVAGLIA
Ok, facciamo così, apriamo l’anta del nostro ipotetico mobile in legno di rovere e tiriamo fuori un bicchiere. Riempiamolo, di ciò che volete. Probabilmente di qualcosa di alcolico, dati i tempi. Almeno potremmo provare a dimenticare. Ma riempiamolo solo per metà: mezzo pieno e mezzo vuoto. Tifoso rossonero che ti indigni per il “complotto Uefa”, voglio iniziare con te dal bicchiere mezzo pieno: la Uefa ha i suoi scheletri nell’armadio, li ha sempre avuti, e il Milan paga anche per altri. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, diceva un tale, e possiamo anche accettarlo. Così come è danneggiato il prestigio del Milan che, a parte quella infausta serata di Marsiglia del 1991, alla Uefa ha solo fatto bene, alzando spesso molte delle sue competizioni. Ma il bicchiere mezzo pieno finisce già qui. Perché ora ci tocca quello mezzo vuoto.
Il Milan vince la Coppa Intercontinentale (siamo romantici, ci piace ancora chiamarla così) il 16 dicembre del 2007 a Yokohama. Parto da molto lontano, dici? Già, ma è necessario. Dopodiché, la squadra andrebbe svecchiata e non accade. Andrebbe rinforzata, e non accade. Nel 2009 Kakà deve essere ceduto, perché i conti lo richiedono. I tifosi si riuniscono sotto casa sua in gennaio, il romanticismo della sua permanenza invade il cuore dei milanisti, ma appena arriva il caldo, il Real se lo porta via. A 67 milioni di euro, curiosamente lo stesso importo della perdita in bilancio di quell’anno. Arriva Leonardo per prendere tempo, se ne va e poi va all’Inter. Giuda. Arriva Allegri, scudetto e pare davvero l’inizio di un nuovo ciclo. Poi, di colpo, lo spogliatoio viene stravolto in una domenica: il 13 maggio 2012, a San Siro, lasciano Seedorf, Pirlo, Inzaghi , Gattuso, Nesta e Zambrotta. E Ibrahimovic: lui vuole restare, Galliani glielo assicura e Raiola si fa una risata: “Si stavano mettendo d’accordo davanti a me e scoppiai a ridere: Zlatan, lo sai come sono messi i conti del Milan?”.
E arriviamo agli ultimi anni: 2013, perdita di 17,7 milioni. 2014, perdita di 91,2 milioni. 2015, rosso per 90 milioni. 2016, altri 75 milioni. Risultati negativi in campo, e non poteva essere altrimenti, con il Milan sempre lontano dal vertice e tutto preso a cambiare sei allenatori in quattro anni. Non è pensabile che in Italia, alla luce anche dell’esclusione della Nazionale al Mondiale, si voglia “fare pulizia” e “partire dai giovani” quando le società italiane in attivo sono non più di cinque o sei. La gestione del Milan degli ultimi anni è stata a dir poco scellerata: parametri zero di dubbio valore, prestiti e una campagna acquisti, l’ultima, dove si poteva anche capire che fosse impossibile azzeccare undici giocatori su undici e l’unico scudetto che è arrivato è stato quello del mercato, in pieno stile Inter degli anni d’oro, dove adoravamo cantare “luglio e agosto, interista, sogni sotto l’ombrellone” e i trombati invece siamo stati noi. Yongong Li c’entra relativamente: la famiglia Berlusconi, completamente immersa nel triennio preso in esame dalla Uefa (2014-17) ha ancor maggiori colpe. Ma le responsabilità più grandi le ha un sistema che non sa rinnovarsi, che il 29 gennaio scorso non ha saputo eleggere un presidente, che porta i dirigenti delle sue squadre in Lega a litigare per i soldi delle televisioni, l’unico tubo dell’ossigeno che tiene in vita la baracca e che non usa lo stesso bastone con i conti dei club di casa propria. Nessun nuovo investimento, nessun piano vero e solido, e il problema stadi, con la questione del nuovo impianto della Roma appena sprofondata nel solito via vai di intercettazioni e corruzione. Il caos poi, al Milan, va avanti da un biennio: prima Mister Bee che salta (volutamente messo nella copertina di questo editoriale, onde evitare che finisca nel dimenticatoio), poi un closing che non arriva, e i dubbi, comunque leciti, sulla figura dell’imprenditore cinese e delle sue “miniere di fosfati” che nessuno ha mai visto. I tifosi, le uniche vittime di questi anni balordi che quasi si accostano ai tempi della B (e le presenze a San Siro quest’anno erano pure aumentate: cosa bisogna fare più di così?), rinuncino a prendersela con la Uefa ma se la prendano con chi utilizza il Milan per speculare: giusto il ricorso, giusta la rabbia, giusta la sorpresa per una sentenza che comunque era stata velatamente annunciata. Ma qui c’è da rifare il Milan, ormai da troppi anni. E ogni volta è sempre una falsa partenza.