Sempre più attenzione ai giocatori e poco alla maglia: il vizio della persecuzione via web
di STEFANO RAVAGLIA
Irrazionale, spontaneo, legato ai dogmi della passione. Raziocinio? Chi era costui? Il pallone non ne vuole proprio sapere di usare il cervello. Tra quello e il cuore, non v’è dubbio: animo e sentimenti tutta la vita. Eh sì, però molto spesso si valica il confine della coerenza e del buon gusto. Nella storia di questo sport non si contano traditi e traditori, finte bandiere e ipocriti prestigiatori. La questione Bonucci-Higuain, per l’ennesima volta, come in passato per altri casi, ha infiammato i social network. Perché oggi siamo nel 2018, mentre nel 1990 magari avrebbe infiammato le discussioni da bar o le tribune televisive. Oggi è internet a farla da padrone e lì si riversano sentimenti e gazzarre tra le più disparate, e molto spesso non è certo un bene.
Da una parte, i milanisti: accolto Bonucci come un Re lo scorso anno, scaricato senza troppi problemi dodici mesi dopo. Orde di insulti e di sbeffeggiamenti e persino l’assurda pretesa di tirare fuori quello “scippo” del numero 19 a Kessié. Chi non l’ha mai ritenuto forte, chi lo ha sempre continuato a detestare. Orsù, dove sono dunque quelle centinaia di scalmanati che riempivano Casa Milan e il suo piazzale a metà luglio dell’anno scorso per tributarne l’arrivo? E le maglie numero 19, che fine faranno? Acquistate a iosa, saranno buone per dare lo straccio sui pavimenti dei salotti. Dall’altra, i bianconeri: Higuain sostanzialmente salutato bene, anche se con qualche eccezione, di ben altro tono l’argomento Bonucci. Disperati per averlo visto sciupato e imbrocchito nell’anno rossonero, temono che non si riprenda più. Falso, secondo chi scrive. Tornerà nel suo habitat naturale, riscoprirà automatismi perduti e forse (nel calcio è sempre d’obbligo il condizionale) potrebbe tornare ai suoi massimi splendori.
E’ la storia del football, soprattutto sull’asse Milano-Torino. Ci fu qualche mugugno addirittura quando arrivò Inzaghi nel 2001, nonché uno scatolone pieno di odio per Pirlo, che dura tutt’ora. Dopo dieci anni di Milan i tifosi hanno ben pensato di voltargli le spalle per il suo passaggio alla Juventus e per quella voglia di andare al Real Madrid confessata in una sua autobiografia mentre vestiva rossonero. E dunque, che male c’è? Se vi mettessero la camiseta blanca a suon di miliardi, non sareste forse contenti anche voi da pallonari quali siete? Troppo presto si acclama, ancor più in fretta si odia. E Donnarumma? Mai viste così tante maglie da portiere a San Siro, soprattutto tra i bambini, mentre un anno fa circa, poco prima dell’arrivo del numero 19, erano beceri insulti anche a suo carico. I social, uno strumento straordinario, hanno rincitrullito molte testoline, e non sono più ormai uno strumento di confronto, o lo sono raramente, bensì un serbatoio d’odio dove l’importante è eleggere un nemico giurato. Seedorf si prese i pugni sul cofano della macchina nel 2002, oggi guai a chi ne parla male. Veniva dall’Inter, ma ben presto ce lo siamo scordati. Anche a Leonardo, che pur veniva insultato da 80.000 la sera del 2 aprile 2011 per i noti motivi (con annessa coreografia dedicatagli) è bastato un acquisto di spessore per essere redento. Suvvia, preferiamo dunque una via più sobria e solenne: rispetto e fiducia, ma mai idolatria. Nessuna maglia che non abbia il nostro nome, quello dei tifosi: gli unici che hanno firmato un contratto a vita col Milan. Il calcio non è più quello di un tempo e le lezioni di Kakà e Shevchenko sarebbero dovute servire. Cambiare maglia si può, accade e sempre più spesso: non per questo, in un senso o nell’altro, bisogna accendere il computer per riversarci sopra tonnellate di odio controproducenti. “I giocatori passano, la maglia resta”, e mai detto fu più vero. Occorre però metterlo in pratica una volta per tutte.