Inzaghi spegne 45 candeline. Dopo la parentesi infausta a Milanello, una carriera da allenatore in ascesa

di STEFANO RAVAGLIA

 

“Pippo mio! Pippo mio!” escalmava Carlo Pellegatti a ogni sua prodezza. Magari non nitida e linda come i fuoriclasse d’ogni tempo, ma animalesca e feroce come l’istinto dei predatori. Questo era Filippo Inzaghi, e parlarne al passato mette ancora un po’ i brividi. Sia perché pare che abbia smesso di giocare l’altro ieri, o forse ancora non l’abbia mai fatto, data la tripletta segnata il 21 maggio nella grande kermesse d’addio a Andrea Pirlo. Sia perché sono ancora vive nei tifosi milanisti tutte le scariche elettriche che non hanno mai lasciato scampo agli avversari, sia in Italia che oltreconfine. “Non è Inzaghi che è innamorato del gol, è il gol che è innamorato di Inzaghi”, la massima del compianto Mondonico divenuta ormai una citazione letteraria. Dal Piacenza alla Juventus, dalla Nazionale al Milan, impossibile pensare che non ci mettesse lo zampino. Mezzi tecnici limitati, anche se fino a un certo punto, ma la capacità di sopperire a carenze da fuoriclasse con un istinto del gol primordiale mai visto né prima né dopo in chiunque altro.

Filippo Inzaghi non è mai stato un calciatore comune, di quelli che dopo la partita staccano la spina, non conservano alcuna maglia, non si ricordano che partita fosse se mostri loro una foto che li ritrae in campo. Lui si ricorda tutto, ha archiviato qualsiasi cosa e si sofferma sempre, come capitò anche con il sottoscritto, a osservare una foto che lo ritraeva esultante, per capire quale fosse l’occasione. Erano passati pochi giorni da Manchester, e lo disturbai, si fa per dire, in vacanza. Gli porsi una foto della sua scalmanata esultanza con l’Ajax e lui la scrutò attentamente, afferrando al volo quel momento. “Siamo i campioni d’Europa”, mi scrisse. E grazie a lui, soprattutto: la Champions League 2002-03 porta il suo marchio indelebile. Inzaghi è appassionato di calcio prima che ex calciatore e allenatore.

E a proposito, dopo l’infausta esperienza in rossonero dentro un marasma tale che non gli avrebbe mai permesso una annata competitiva, è ripartito da zero sconfiggendo il rischio di bruciarsi che dopo i 9 mesi a Milanello era tangibile. Due grandi campionati col Venezia, prima in C e poi in B, arrendendosi solo ai playoff per la promozione in massima serie. Ora, al Bologna, da perfezionista qual è, certamente si aspetta qualcosa da lui stesso perché sa che gli altri si attenderanno molto di più da lui. Può essere una consacrazione, anche da allenatore, e in futuro chissà che i tempi non siano maturi per un ritorno in rossonero, manovra molto in voga ultimamente, da Leonardo a Maldini. A Pippo piacciono le sfide, a noi piacciono i sogni. Ma anche se così non fosse, ci è stata sufficiente la carriera in rossonero da calciatore. Inebriante, travolgente, elettrizzante. Come le scariche ad “alta tensione” che non hanno lasciato scampo a uno stuolo di portieri. Oggi Inzaghi fa 45 e la sua seconda giovinezza è appena iniziata. E allora auguri “Pippo mio”, Pippo nostro.

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