Arriva la terza coppa Intercontinentale: schiacciata l’Olimpia Asuncion in Giappone con un immenso Van Basten
di STEFANO RAVAGLIA
Qualche volta accade, ma sugli scudi va sempre chi risolve la partita. Però può capitare che un giocatore, pur senza segnare, sia decisivo tanto quanto chi ha timbrato il punteggio. E’ ciò che accadde il 9 dicembre del ’90, anno dei mondiali italiani, delle notti magiche e di Totò Schillaci. Nella coda di un anno magico per l’Italia, che vinse tutte e tre le coppe europee, non c’è veleno ma solo altro zucchero. Marco Van Basten, che ha già conquistato da un pezzo i cuori dei milanisti e ai mondiali si è arreso davanti alla Germania, sceglie di andare a incantare anche dall’altra parte del mondo. Nel pomeriggio giapponese, all’Olimpico di Tokyo, il Milan travolge 3-0 i paraguaiani dell’Olimpia di Asuncion, bissando la coppa intercontinentale dell’anno precedente. Finale diametralmente opposta a quella contro il Medellin di 12 mesi prima, quando Sacchi dovette sudare sette camicie per avere la meglio sui colombiani.
Stavolta no: Van Basten da Utrecht ricama, inventa, assiste e regala colpi di autentica classe. Senza segnare. Il primo lo fa Rijkaard: cross di Gullit e testa di Frank che esalta il pubblico del Sol Levante. Il 2-0 è dell’uomo che non ti aspetti, Giovannino Stroppa. Ma ciò che fa Van Basten, che rientra e tira a botta sicura dopo aver dribblato il portiere è da manuale. Il centrocampista mette dentro dopo la respinta del palo. Ma è in occasione del terzo gol che il funambolo col numero 9 si esalta: ricevuta palla da Rijkaard che la sottrae a un avversario, e saltato il suo marcatore, esegue un pallonetto simil-cucchiaio che sbatte contro il palo. Sulla respinta, è ancora il compagno e amico Rijkaard e schiacciare in rete di testa per il rotondo 3-0. E’ il canto del cigno del Milan di Sacchi, che raccoglie l’ultima vittoria di un triennio straordinario. E, a proposito di cigni, quello di Utrecht, quel pomeriggio, pur senza segnare, era stato davvero di un altro pianeta.