Un altro scialbo pareggio interno che non smuove la classifica, non smuove gli umori dell’ambiente ancora spento. L’unica consolazione si chiama Ibra
di Giuseppe Vitale
Ci meritavamo un’epifania più dolce di quella che abbiamo vissuto, l’esordio numero 2 di Ibra è stata l’unica fonte di piacere in un’altra giornata di campionato abbastanza nera, come la nostra maglia. La speranza era quella di percepire voglia di riscatto dopo la vergognosa trasferta di Bergamo, una fame quasi rabbiosa per cambiare le cose, invece no. C’era l’opportunità di restituire un briciolo di colore ad una stagione concentrata ad essere mediocre, alcune “avversarie” hanno perso terreno, ma questo diavoletto non riesce come al solito, a prendersi soddisfazioni.
I giocatori sembrano piombati in un limbo dal quale non hanno intenzione di uscire, ci sguazzano all’interno senza crearsi speranze per venirne a capo. I volti , le facce spesso sono la fotografia delle partite che il Milan sta morbosamente ripetendo, come se non ci fosse assoluta via d’uscita.
I limiti tecnico -tattici sono palesi, il 4-3-3 sbandierato e portato avanti da anni come se non esistesse altro, fa acqua e si contraddice da tutte le parti. I nostri esterni offensivi continuano a non essere tali, non avendo nelle corde la corsa giusta e dinamiche offensive ben congeniate, il centrocampo è piatto tanto da sembrare inesistente o impalpabile, mentre il nostro ex bomber Polacco sembra l’ombra macabra della macchina da goal semi perfetta, della scorsa stagione.
Dunque Ibra non può bastare, lo capirebbe anche un bambino. Lo Svedese serve da esempio per questi ragazzi acerbi e ancora immaturi, serve a ridare fiducia ad un contesto addormentato e fermo sotto un alone di infelicità, serve ad indicare una via verso la dignità, perché a tratti sembra essersi persa anche lei.