DI MATTEO ANOBILE

Quando il Milan era un punto di arrivo aveva degli interpreti che il mondo gli invidiava e Zvone Boban era uno di quelli.

Per indossare la maglia numero 10, non basta avere classe con i piedi bisogna anche essere dei signori fuori dal campo. Zvone Boban era tutto questo, un galantuomo che non ha mai avuto paura di mettersi in gioco.
Primavera del 1990, la Dinamo Zagabria giocò contro la Stella Rossa in quel di Belgrado, la guerra dei Balcani era alle porte. Iniziarono i primi dissidi etnici. Il calcio è sempre stato lo specchio della società e fra le due tifoserie iniziarono gli scontri figli della confusione che regnava in quel periodo. Boban ad un certo punto per difendere i suoi connazionali sferrò un calcio a un poliziotto serbo. Tutto ciò gli costò l’estromissione ad Italia 90 con la Jugoslavia. Ma lui antepose un ideale a un pallone, andando in antitesi con gli stereotipi che si dicono sui calciatori. Personaggio ecelttico, laureato in filosofia con la licenza di inventare in campo. Protagonista dello scudetto con Zac in panchina nel 1999,icona e quadro di quella vittoria, con Weah dopo il gol alla Juve, nella corsa sotto la sud.

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