di STEFANO RAVAGLIA
E’ scomparso Mondonico, viva Mondonico. Quei baffoni e quel sorriso sornione ci hanno accompagnato per tanti anni, tra i campi di provincia e quella innata capacità che aveva Emiliano di portare la classe operaia in paradiso, non le vedremo più. A 71 anni ha perso la partita più importante, non senza lottare. E di lui, in particolar modo a noi milanisti, ci resta quell’assioma sulla nostra punta di diamante col numero 9, colui che ci ha portato una Coppa dalle grandi orecchie e ci ha trascinato a Manchester nel 2003 con la forza della disperazione eliminando da solo l’Ajax nei quarti: “Non è Inzaghi che è innamorato del gol, è il gol che è innamorato di Inzaghi”. Ne sapeva a pacchi, il “Mondo”. Simbolo della Cremonese da giocatore e poi da allenatore, che portò in A per la prima volta dopo 54 anni, fece del bene anche a Torino e Atalanta nobilitandole addirittura in mezzo al gotha europeo.
Coppa delle Coppe e Coppa Uefa, entrambe solo sfiorate. Coi nerazzurri si fermò in semifinale contro il belgi del Malines, col Torino si arrese a pochi metri dal trofeo, ad Amsterdam, contro l’Ajax. In entrambe le occasioni pali, traverse e sfortuna hanno fatto il loro triste corso. Ma non era certo un perdente Mondonico: l’Atalanta la riporto in A nel 1995, il Torino (col quale vinse una Coppa Italia nel ’93) nel 1999. Sapeva gestire uomini e calciatori, faceva da tecnico e da padre e ne sa qualcosa Christian Vieri, con lui in entrambi i club: “Mi diceva di attaccare sempre, sempre. Anche dopo il novantesimo, anche quando gli altri erano stanchissimi e anche tu non ce la facevi più, dovevi sempre lottare. Io questa cosa non me la sono mai tolta dalla testa”. Nemmeno noi ci toglieremo mai dalla testa Emiliano Mondonico, uomo buono di un calcio che non esiste più.