Gli ultimi anni sono stati parecchio complicati per i tifosi rossoneri: abituati ai tempi gloriosi della presidenza Berlusconi ad alzare trofei in maniera cadenziata, i titoli vinti dall’addio di Ibra e Thiago Silva si riducono ad una misera Supercoppa Italiana conquistata a Doha il 23 dicembre 2016. Troppo poco per una squadra blasonata e dal passato trionfale.
Spesso però le società di calcio costruiscono i loro successi, oltre che da un’importante forza economica, anche da un’oculata direzione societaria; dopo l’ultimo periodo in fase calante del condor Galliani e di una dirigenza “fantoccio” costituita dall’inedito duo Mirabelli-Fassone, la tifoseria più antica di Milano era convinta di aver trovato la quadra avendo assunto una vecchia conoscenza come quella di Leonardo. Il brasiliano è però durato un solo anno all’interno della dirigenza di Via Aldo Rossi, tornato in fretta all’ombra della Tour Eiffel dopo una stagione con più ombre che luci.
La società meneghina ha deciso quindi di rimanere sulla linea delle vecchie leggende e di affidare a Zvonimir Boban il ruolo di Chief Football Officer. Molti degli addetti ai lavori hanno storto il naso all’annuncio relativo al croato, quasi che la poca esperienza dell’ex Dinamo Zagabria significasse un ridimensionamento a livello di obiettivi da raggiungere. Sicuramente la stangata della Uefa con l’esclusione dalle competizioni Uefa per un anno non farà così gola a tanti giocatori quotati, ma il Milan ora deve pensare a ripartire, a quella fase di transizione che in Nba viene chiamata “Rebuilding”. Dopo il cocente verdetto di fine maggio, con la qualificazione alla Champions League sfumata per un pelo, il progetto che Maldini e Boban stanno costruendo è formato su giovani brillanti da far esplodere, con un occhio sempre aperto verso la parsimonia e le spese limitate di stipendio: un progetto a lungo tempo, con la possibilità di tornare competitivi a livelli nazionali e magari europei in due-tre anni.
Ma chi è Zvonimir Boban e qual’è il suo curriculum dopo che ha appeso gli scarpini al chiodo?
Zvone è figlio di quella generazione dorata della scuola jugoslava che ad inizio anni 80 ha regalato al calcio giocatori del calibro di Savicevic, Piksi Stojkovic, Mihaliovic, Suker, Mijatovic e Prosinecki tra gli altri, che ha deliziato il calcio mondiale principalmente alla Dinamo Zagabria prima e nel Milan poi, vincendo tutto quello che c’era da vincere, compresa una Coppa dei Campioni in cui era titolare nell’impresa di Atene contro il Barcellona di Johan Cruijff. Anche in nazionale è stato un’autentica bandiera, toccando il punto più alto nel mondiale transalpino del 1998 dove strepitoso trascinando la Croazia fino alla semifinale persa solo all’overtime contro i futuri campioni della Francia.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo si è ritagliato qualche anno per conseguire una laurea in scienze storiche presso l’Università di Zagabria, per poi tornare al calcio, commentando per più di un decennio ai microfoni di Sky Sport e scrivendo saltuariamente per La Gazzetta dello Sport. Dal 2016 al 2019 è stato insignito dell’importante compito di essere vicesegretario della FIFA, scelto direttamente da Gianni Infantino in quanto lo considerò “uomo di grande spessore umano ed intellettuale, nonchè grande conoscitore del mondo del calcio”. Questo importante ruolo lo ha elevato ad un grado superiore come dirigente, ruolo che tanti raggiungono dopo una vita alla guida di squadre ma che lui, per la sua preparazione ha vissuto come primo vero incarico manageriale.
Questo ottimo palmares può far ben sperare i tifosi rossoneri, con la consapevolezza che la scalata verso l’olimpi che compete loro avverrà con calma e lungimiranza, senza commettere nuovamente l’errore di voler ottenere tutto e subito, come un paio di estati fa all’inizio della breve e triste esperienze cinese.